La vista si appanna, un dolore lancinante avvolge la mano destra, mi lascio cadere al suolo.
Circa una mese fa, un po’ per sconfiggere il caldo estivo e un po’ per ottimizzare il tempo a disposizione, decisi di uscire presto per il mio solito giro in bici. Certo non potevo immaginare che i dintorni di Milano diventassero così trafficati fin dalle prime luci dell’alba.
“Meglio tornare a casa”.
Per non rischiare e per velocizzare il rientro, cambiai il mio percorso abituale, imboccando la pista ciclabile che costeggia Parco Nord, alle porte di Milano. Erano le 9:30 del mattino e il caldo si faceva già asfissiante. Come me, altri temerari occupavano la pista: un anziano a passeggio con il cane, un ciclista in abito da lavoro. Io mi destreggiavo fra loro, entusiasta di provare il mio nuovo casco aerodinamico e le prolunghe in carbonio appena montate sul manubrio.
La velocità non mi interessava però. Faceva troppo caldo e non vedevo l’ora di rientrare a casa.
“Occhio, ci sono le strisce”.
Appena mi appresto ad attraversarle, un furgone bianco sbuca dal cancello alla mia sinistra. Lo vedo troppo tardi, non riesco a frenare, l’impatto è inevitabile.
“Oddio! Oddio! Come stai?” Urla il conducente distratto, mentre corre fuori dal mezzo.
Mi passo una mano sul volto, vedo sangue: “Che cazzo ho fatto alla faccia?!” strillo come un matto.
“Ti esce del sangue dal naso” mi dice lui. Poi mi accorgo del dolore alla mano, come se un coltello mi avesse trapassato il palmo. La vista comincia a calare e mi sdraio a terra.
In quelli che potrebbero essere stati 10 minuti o 10 ore, mi sento trascinare dentro una stanza, avverto la presenza dei vigili e mi ritrovo dentro un’ambulanza, direzione Pronto Soccorso.
“Signor Ghelli, la mano non ha nulla, ma si è rotto il naso” mi dice il dottore con noncuranza. Chissà quanti ne vede di ciclisti come me ogni settimana.
“Ma a me il naso non fa male”.
In compenso è quasi un mese che ho difficoltà a muovere le dita della mano destra, dicono sia a causa dell’ematoma che limita il movimento dei tendini, ma per ovviare ogni dubbio presto vedrò un ortopedico.
Nel frattempo, continuo ad allenarmi, ogni giorno, senza sosta. Per nuotare mi lego la mano con del nastro per far sì che le dita si chiudano. La bici ovviamente ha subito dei danni e le belle prolunghe in carbonio appena comprate sono andate distrutte.
Chiaro, questo periodo sta portando con sé momenti difficili, ma ormai mancano solo due mesi all’Ironman di Cervia. Non posso e non voglio fermarmi, anzi voglio rialzarmi e continuare a lottare per raggiungere l’obiettivo. Non amo gli imprevisti e spesso reagisco male quando me ne trovo uno davanti, ma se prima preferivo evitarli del tutto, ora con la cosiddetta ‘tigna’ li affronto a testa bassa.
Forse nell’ultimo mese avrò perso un po’ di sorriso, ma ho trovato nella rabbia un’alleata preziosa. Mi scuote, mi prende a schiaffi e mi motiva a non accettare la sorte avversa.
Che poi per i prossimi 60 giorni potrebbe anche importunare qualcun altro, no?