“Fino ad Abol Bridge per 100 miglia a nord, non ci saranno luoghi dove trovare rifornimenti o chiedere aiuto. Non iniziate questa sezione del sentiero se non avete a disposizione almeno 10 giorni di provviste e se non siete adeguatamente attrezzati. Questa è la parte più lunga dell’intero A.T. nella natura selvaggia e la sua difficoltà non dovrebbe essere sottovalutata. Buon cammino!” Recita il cartello all’inizio della 100-Mile Wilderness, l’ultima sezione del sentiero prima della salita finale fino al Monte Katahdin.
“Avremmo dovuto comprare più cibo”, dico rivolgendomi a mio padre. “Ho già fame”.
Il mio vecchio ha deciso di unirsi a me nell’ultima settimana della mia avventura e ad essere onesti sono contento che lui sia qui, almeno qualcuno nella mia famiglia sarà testimone della follia di camminare per migliaia di chilometri nei boschi.
“Sarà facile?” Continuava a chiedermi al telefono le settimane prima del suo arrivo.
“È quello che mi hanno detto”, continuavo a rispondere. “Un paio di salite ma niente di troppo impegnativo”.
Bugiardi.
Per riassumere brevemente la nostra esperienza di 160 chilometri selvaggi, farò riferimento solo ad alcuni dei momenti salienti che hanno caratterizzato giorno per giorno il nostro viaggio insieme.
Giorno 1: ore 20:30, il sole è già tramontato, il che significa che siamo costretti a percorrere al buio i nostri ultimi chilometri prima del rifugio.
“Mancano un paio di chilometri”, annuncio dopo aver consultato la mia guida.
“Che cosa?! Quel libro è sbagliato! ” risponde papà rabbiosamente.
“O sei solo molto lento”, penso.
Giorno 2: il sentiero passa attraverso la catena montuosa dei Chairbacks, che alcuni mi hanno descritto come la parte più aspra della 100-Mile Wilderness. Ma non immaginavo che la sua peculiarità sarebbe stata rappresentata da una ripidissima salita e da una discesa su massi e radici scivolose, ancor più difficoltosa.
Vedo l’espressione preoccupata sulla faccia di mio padre, che misura attentamente ogni passo, cercando di non farsi male. Certamente pensa che sto cercando di ucciderlo per intascare l’eredità.
“Questa non è roba per tutti”, esordisce a cena. Sorrido, felice per il fatto che se n’è già reso conto, al suo secondo giorno appena.
“Avremmo dovuto dire al nonno di venire con noi”, gli dico scherzando.
“Probabilmente ce lo saremmo giocato”, risponde lui.
Giorno 3: durante una tranquilla e piacevole mattinata sul sentiero, mio padre decide di aggiornare me e Dubs sulle ultime notizie dal mondo.
“Trump e l’economia e la Cina e i dazi e bla bla bla,” (non ho prestato molta attenzione, mi dispiace).
Mi blocco nel mezzo del sentiero, mi giro e mi avvicino a lui. “Tutto questo ha importanza ora? Qui, dove siamo adesso? In questo preciso momento? ” gli dico guardandolo dritto negli occhi.
“Vaffanculo”, risponde allontanandosi.
Giorno 4: siamo seduti nel rifugio, facendo colazione avvolti nei nostri sacchi a pelo. È una mattinata fredda e nessuno ha molta fretta di iniziare il cammino. In realtà, sono più preoccupato di trovare il modo per rendere più piacevole la mia colazione.
Mio padre si gira verso di me mentre sono impegnato a inzuppare una barretta proteica di cioccolato in un barattolo di Nutella e mi dà un’occhiata a metà tra il disgustato e il preoccupato.
“Pensi di andare a stare da tua madre quando rientri in Italia?” Chiede, rompendo il silenzio.
“Non lo so, forse”. Mormoro con la bocca piena. “Perché?”
Beve un sorso di caffè dalla sua tazza e poi risponde: “Non voglio accendere un mutuo solo per darti da mangiare”.
Giorno 5: Dubs deve lasciarci. Tra un paio di giorni ha appuntamento con la sua famiglia e ha alcuni chilometri da recuperare. Tuttavia, decide di rimanere con noi fino al pranzo.
In mattinata scopriamo che il sentiero è caratterizzato da alcuni saliscendi, un po’ più impegnativi di quanto ci aspettassimo. Dopo un chilometro perdiamo traccia di mio padre e decidiamo di aspettarlo in cima alla montagna.
Quando arriva è visibilmente stanco e apparentemente sconvolto.
“Hai detto che avevamo finito di arrampicarci!”, dice mentre si toglie lo zaino e crolla a terra.
Dubs e io sorridiamo. “Siamo orgogliosi di te” gli dico. “Stai andando alla grande”, aggiunge Dubs. “Stai facendo molto più di quello che abbiamo fatto noi durante le nostre prime settimane qui, e su terreni molto più difficili! ”
Giorno 5: abbiamo lasciato Dubs con l’accordo di incontrarci di nuovo al Katahdin Stream Campground il sabato successivo oppure il venerdì sera, se riusciremo a mantenere un buon ritmo nei prossimi due giorni.
Il cielo è libero dalle nuvole e seguendo il sentiero che costeggia il lago, arriviamo presso una radura che ci permette di godere appieno della vista di fronte a noi. L’acqua limpida, la rigogliosa vegetazione tutt’intorno e in lontananza il monte Katahdin che sormonta tutto come un gigante silenzioso.
Lo guardo una, due, tre volte. Devo assicurarmi che sia reale. Poco più di quattro mesi e sono solo a un paio di giorni dal compimento della mia più grande avventura.
Mio padre si siede tranquillo in disparte, lasciandomi solo. Sono sicuro che capisca quanto sia importante quella vista per la mia anima.
Giorno 6: completiamo la 100-Mile Wilderness e per festeggiare ci concediamo un hamburger con patatine fritte e un’enorme birra all’Abol Bridge Campground. Sono felice che mio padre abbia raggiunto il suo obiettivo e devo organizzarmi per trovargli un passaggio fino al prossimo campeggio, risparmiandogli gli ultimi 15 chilometri fino alla base del Monte Katahdin.
Siamo seduti al ristorante di un campeggio situato sul lato di una strada in mezzo al nulla nel Maine. Anche le persone che lavorano lì non hanno idea di come raggiungere il Katahdin Stream Campground, al punto che dobbiamo cercare su Google.
Fortunatamente per noi dopo un’ora di domande in giro, riusciamo a trovare un tale che darà un passaggio a mio padre per 30 dollari. Sono le 17 circa quando l’auto con a bordo mio padre e lo sconosciuto parte dal campeggio, lasciando dietro di sé una scia di polvere.
Ora devo camminare per 15 chilometri e non sono disposto a farlo di nuovo al buio. Cerco di muovermi il più velocemente possibile, in alcuni tratti mi metto a correre. Sfortunatamente, il mio stomaco pieno non è d’accordo sul fare tutto quel movimento e mi costringe a fermarmi per una pausa nella natura.
Tuttavia, riesco ad arrivare al campeggio prima del tramonto. Vedo mio padre seduto a un tavolo da picnic e andiamo insieme alla stazione dei ranger per registrarci per la notte.
Arriviamo al rifugio riservato agli escursionisti, ma non c’è traccia di Dubs.
“Deve essere ancora con la sua famiglia”, penso.
Mentre ceniamo tutto diventa rapidamente buio intorno a noi. Mio padre decide di andare a dormire, mentre io voglio prendermi un momento per sedermi fuori a pensare a quello che succederà il giorno dopo e ad aspettare che il mio amico si presenti.
Dopo 10 minuti mi arrendo e decido di andare anch’io a dormire. Scivolo dentro il mio sacco a pelo e chiudo gli occhi. Non riesco ad addormentarmi subito perchè la mia mente è un uragano di pensieri. Dubs non si è visto, ma ciò che mi tiene sveglio non ha niente a che fare con questo.
Il cielo si copre di nuvole e qualche goccia di pioggia inizia a cadere al suolo, sempre più intensamente.
“Domani sarà un grande giorno”.